sabato 12 luglio 2008

Thelonious Monk, un genio della musica moderna

A sessant'anni dalla pubblicazione delle prime incisioni di Thelonious Monk, ripropongo un articolo che scrissi tempo fa per un bel jazz magazine che purtroppo ebbe vita breve... 

Monk: A Genius of Modern Music

Fu grazie all'impegno e alla lungimiranza dei proprietari di casa Blue Note che le composizioni di Thelonious Monk vennero incise per la prima volta su un disco a lui intestato. Le prime registrazioni furono pubblicate nel 1948, in piena rivoluzione bebop, quando del misterioso pianista, del suo genio e della sua originalità, si sapeva ancora poco.

Nato a Rocky Mount, North Carolina, il 10 ottobre del 1917, Thelonious Sphere Monk si trasferisce a New York in tenera età, stabilendosi con la famiglia nel quartiere di San Juan Hill. Muove i suoi primi passi nel mondo musicale suonando la tromba, abbandonata a cinque anni per il pianoforte, strumento del quale apprenderà i rudimenti da autodidatta. Dopo aver preso lezioni private, e frequentato alcuni corsi di teoria al conservatorio di quartiere, il suo apprendistato continua negli ambienti religiosi: dapprima all'organo come accompagnatore di sua madre, corista nella chiesa di St. Cyprien; in seguito, come pianista in un quartetto rhythm and blues che accompagna una guaritrice evangelista in giro per gli States.

Forte di un'intensa attività pianistica, poco più che ventenne, Monk è già un musicista jazz. All'inizio degli anni Quaranta viene scritturato al Minton's Playhouse, la fucina del bop, dove suona regolarmente nel gruppo del batterista Kenny Clarke (di lì a poco ci saranno gli incontri con Bird, Diz, e con Coleman Hawkins, grande sostenitore dei boppers, il quale lo farà esordire in studio come sideman). Il pianista, tuttavia, non sembra trovarsi a proprio agio tra le stelle del nuovo jazz: pur essendo tra i maggiori agitatori della rivoluzione bebop, non veste la divisa dei boppers, dei quali sembra addirittura non condividere le idee musicali. Magnifico paradosso di un compositore che nell'apparente contraddizione trova uno dei suoi punti di forza.

In realtà, Monk, nel contribuire al processo di rinnovamento jazzistico di quegli anni, tende a concentrarsi sempre più sul proprio percorso compositivo: per questo si cura poco di ciò che si muove intorno a lui. E' un artista bizzarro, dallo spirito indipendente, che trae ispirazione principalmente dalla sua stessa musica (è lui ad affermarlo). Un personaggio egocentrico. E sarà proprio questo atteggiamento, questa sua naturale inclinazione all'isolamento, a procurargli la fama di musicista misterioso e imperscrutabile. Così l'estraneità diviene stranezza, e Thelonious Monk diventa per molti un pianista 'stravagante', tanto da guadagnarsi, presso i colleghi, l'appellativo di Mad Monk. 

Il suo modo di suonare - nel quale si scorgono tracce di stride piano, affinità ellingtoniane ed influenze, più interiori che stilistiche, delle passate esperienze gospel e spiritual - è non meno originale della sua personalità. Non avendo una preparazione accademica, Monk trova presto uno stile pianistico tutto suo: percussivo, fisico, dissonante. Anche il favoloso gioco di piedi (si dava il tempo con le gambe), l'abitudine di percuotere i tasti con le dita tese, ed il magistrale uso delle pause, sono tratti distintivi del suo stile. Monk fa musica allontanandosi dai modelli preesistenti del pianismo jazz: non ricalca orme già impresse, suona come gli detta dentro, spesso in maniera primitiva, e questa pregevole peculiarità è uno degli aspetti dell'artista che suscita maggior interesse. Una spiccata originalità che si riflette naturalmente nelle composizioni monkiane - quasi sempre brevi e fondate sul blues -, le quali appaiono legate in modo indissolubile, nella struttura, agli stilemi del pianista. Sono creazioni colme di tensione ritmica, spesso costruite su armonie circolari, e il più delle volte pervase da una tenebrosità che le rende enigmatiche. Un brano come Thelonious - il cui tema è basato su una sola nota - la dice lunga sulla spigolosità delle sue architetture sonore. 

Il Thelonious Monk che entra per la prima volta in studio d'incisione a capo di un proprio complesso (un sestetto con Art Blakey, Gene Ramey, Danny Quebec West, Billy Smith e Idrees Suleman) ha appena firmato un contratto con la Blue Note, una delle più prestigiose case discografiche dell'epoca. E' il 15 ottobre del 1947. In quella, ed in altre due sedute (24 ottobre e 21 novembre), il pianista registra - col succitato sestetto, in trio ed in quintetto - la bellezza di quattordici composizioni, molte delle quali sono annoverabili tra i suoi capolavori. Round Midnight, innanzitutto, il più famoso dei suoi temi, già inciso nel '44 dalla big band di Cootie Williams: un brano struggente ed appassionato che diverrà in breve tempo uno standard ripreso da tutti i grandi del jazz (Miles per primo ne darà delle incantevoli versioni).

Inoltre Off Minor, Well You Needn't, Monk's Mood, la sua prediletta Ruby My Dear: composizioni che il pianista riproporrà più volte, nelle incisioni in studio e dal vivo, in gruppo e da solo. E ancora. Vanno almeno citate In Walked Bud (gioiello bop ispirato al suo pupillo Bud Powell), Introspection, Hump e Who Knows, così come meritano attenzione le splendide riletture di April In Paris (Duke-Harburg) e Nice Work If You Can Get It (Gershwin), brani che evidenziano come l'originalissimo stile monkiano si manifesti anche nel trattamento di un classico. 

Fatta eccezione per la breve seduta del 2 luglio 1948 in quartetto col vibrafonista Milt Jackson (dalla quale escono frutti pregiati quali I Mean You, Epistrophy e Misterioso), Thelonious Monk non torna ad incidere da leader per un triennio. E' un momento buio per il pianista, che in quegli anni fatica persino a procurarsi le scritture nei locali giusti. La sua musica risulta difficile, ostica... in una parola, incomprensibile. Neppure come sideman le cose vanno meglio: le uniche registrazioni di questo periodo sono quelle effettuate per la Verve (6 giugno '50) al fianco di Bird e Dizzy, vecchi compagni del Minton's. Thelonious Monk rientra in studio per la Blue Note il 23 luglio del '51, in quintetto con Milt Jackson, Sahib Shihab, Al McKibbon ed Art Blakey. In quell'unica seduta registra sei brani, tutti particolarmente angolosi: Criss Cross, Four In One, Ask Me Now, Eronel, Willow Weep For Me (Ronnell) e il capolavoro Straight No Chaser, una delle pagine più rappresentative dell'intero songbook monkiano.

Il pianista, dunque, nonostante le scarse vendite dei suoi dischi e le reazioni negative di una parte della critica, prosegue per la sua strada ("[...] non mi interessa ciò che gli altri scrivono. Non permetto che quelle cose mi disturbino..."). Incide nuovamente per l'etichetta americana in una seduta del 30 maggio 1952, questa volta a capo di un sestetto nel quale brillano le stelle Kenny Dorham (tromba), Lucky Thompson (sax tenore) e Max Roach (batteria). Ancora sei composizioni (spicca un'ottima Hornin' In), ed è ancora il suo stile, il suo particolare linguaggio, a risaltare. Questo è Monk: sorprendente, spigoloso, inconfondibile!

Le incisioni in studio del periodo 1947-1952 sono contenute in due dischi, Genius of Modern Music Vol. 1 e 2, dei quali già il titolo in sé sembra mettere l'accento sulle incredibili capacità compositive del pianista. I due volumi sono stati ristampati dalla Blue Note, nella serie curata da Rudy Van Gelder, con una nuova veste grafica. Delle registrazioni mancano i quattro brani incisi il 2 luglio '48 con Milt Jackson (rintracciabili in Milt Jackson, Wizard of The Vibes), ma in compenso le riedizioni offrono una bella manciata di alternate takes (complessivamente dodici) ed una second take di Sixteen uscita dalla seduta del 30 maggio '52. Tutte incisioni di livello eccelso, ideali per avvicinarsi alla musica monkiana; addirittura indispensabili - ma non bastevoli - per comprenderne l'evoluzione. Raccolte che non contengono semplicemente brani di Thelonious Monk; ma l'arte, lo spirito, e la straordinaria sensibilità di uno dei più grandi compositori del Novecento. Un genio della musica moderna, per l'appunto.

(Aldo Scalini 2001)

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